1973. IL COLERA A NAPOLI
Dopo l’epidemia di febbre spagnola degli anni Venti, che colpì con alta mortalità soprattutto bambini ed adolescenti, e quella di influenza asiatica degli anni Cinquanta, il colera è stata la più importante epidemia del Novecento.

Medici e infermieri con grande dedizione e spirito di servizio per far fronte all’emergenza riorganizzarono i reparti anche senza disporre di mezzi adeguati, rinunciarono ai riposi e, per assicurare l’assistenza ai degenti, si esposero consapevolmente ai rischi del contagio.

Dopo l’epidemia di febbre spagnola degli anni Venti, che colpì con alta mortalità soprattutto bambini ed adolescenti, e quella di influenza asiatica degli anni Cinquanta, il colera è stata la più importante epidemia del Novecento.
L’epidemia scoppiò a Napoli il 20 agosto 1973 con la morte di una donna inglese all’Ospedale dei Pellegrini.
In un primo momento la causa scatenante fu attribuita al consumo di frutti di mare provenienti dalla Tunisia, dove il colera si era diffuso nel maggio del 1973.
In realtà il ceppo che ne era responsabile fu poi riscontrato nelle acque del Golfo di Napoli, inquinate da un sistema fognario inadeguato che risaliva alla fine dell’Ottocento. Purtroppo in quell’agosto afoso, nonostante i divieti, molti Napoletani continuavano a frequentare le spiagge e a fare il bagno.
Alla morte della donna inglese ne seguirono presto delle altre. La sera del 28 agosto il Ministero della Sanità emise un comunicato stampa e il 29 agosto “Il Mattino” diffuse la notizia dell’epidemia, parlando di 7 morti e di più di 50 persone infette ricoverate all’Ospedale Cotugno.
In brevissimo tempo si scatenò il panico: si registrarono infatti rivolte, anche violente, blocchi stradali e rifiuti incendiati.
Le autorità intervennero a disinfettare le strade e le acque dell’acquedotto, a ripulire la città dai rifiuti e a vietare la balneazione e la vendita dei frutti di mare. Il 31 agosto, all’Ospedale Cotugno di Napoli risultavano ricoverati già 220 pazienti sospettati di essere stati colpiti dal colera.
Nel 1940 il mansionario era un mero elenco senza definizioni di ruolo. Il nuovo decreto presidenziale introduce alcuni elementi necessari soprattutto alla riforma ospedaliera del 1968. In particolare, l’assistito non è più visto solo come un malato con dei problemi clinici, ma come una persona che esprime bisogni psichici, fisici e sociali.
Vengono presi in considerazione gli aspetti relazionali dell’attività infermieristica, il campo di attività infermieristica viene esteso dall’ospedale ai servizi di sanità pubblica e ai settori della prevenzione, della cura, della riabilitazione e dell’assistenza sanitaria. Viene riconosciuto il ruolo didattico dell’infermiere in rapporto all’assistito e alle famiglie, ma anche nei confronti di altri operatori e degli allievi ed è attribuito valore alla pianificazione assistenziale.
Nelle settimane successive l’epidemia si estese in altre parti dell’Italia meridionale e in particolare in Puglia: a Napoli si contarono 15 morti e a Bari 6.
In ogni caso già dal 1° settembre cominciò a Napoli (ma anche in Puglia) una delle più gradi operazioni di profilassi nel Secondo dopoguerra, che venne portata avanti nei luoghi più diversi, dalle farmacie alle sezioni dei partiti politici ecc. Più di un milione di persone furono vaccinate in una settimana.
La campagna vaccinale e le drastiche misure igieniche adottate riuscirono ad arginare la diffusione del colera. A Napoli l’ultimo caso fu registrato il 19 settembre e già il 12 ottobre l’epidemia poteva considerarsi conclusa.
Storie di infermieri
GUARDA TUTTI I VIDEOCiò che mi piacerebbe dire a chi intraprende la carriera infermieristica,
oggi, è che fa uno dei lavori più belli del mondo perché è più in linea con i bisogni della gente di oggi
Edoardo Manzoni