1945. LA LIBERAZIONE E GLI INFERMIERI NELLA RESISTENZA
Con la liberazione delle grandi città del Nord e la resa dei tedeschi in Italia, la primavera del 1945 segnò la fine del nazifascismo nel nostro Paese.

La data del 25 aprile, giorno della liberazione di Milano, fu scelta come anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo.
Giorgia Palmari in un articolo pubblicato sul sito dell’Opi di Rieti, invitandoci e a celebrare il 25 aprile, ci racconta alcuni significativi episodi sul ruolo che gli infermieri ebbero nella Resistenza:
“(…) Un ferito medicato in luoghi nascosti tra le montagne, in casali demoliti e nell’anonimato. Non ci si poteva minimamente rendere conto di quanto procurare una garza, un disinfettante o una semplice siringa costasse innumerevoli rischi.
Uno dei punti cardine della professione medica è: primum non nuocere, anzitutto non nuocere. Ma in quel contesto storico, a volte l’unica possibilità per salvare una persona era farla ammalare. Basti pensare all’infermiera caposala suor Mosna, che all’Ospedale Niguarda di Milano mise a punto, insieme a un team medico, delle terapie per far insorgere la febbre. Addirittura fece medicazioni su arti sani pur di non far deportare dai militari i malati.

Pochi di noi sanno che nel 1944, a Bologna, sorgeva un edificio all’interno del quale un’infermiera clandestinamente salvò la vita di molte persone: questa struttura doveva sembrare una casa abbandonata, ci si poteva accedere solo all’imbrunire e soprattutto le finestre dovevano rimanere rigorosamente chiuse, proprio per non destare sospetti.
Medici e infermieri sono stati parte integrante della storia della Resistenza italiana nei venti mesi che seguirono l’8 settembre del 1943.
I partigiani cominciarono ad organizzarsi come meglio poterono. Sempre a Bologna il Comando Unificato Militare dell’Emilia Romagna creò una vera e propria assistenza sanitaria segreta, utilizzando ospedali pubblici ma anche case private, sfruttando i contatti con le figure che vi lavoravano all’interno. Queste figure sanitarie si occupavano, mettendo a repentaglio la propria vita, di reperire materiale utile all’assistenza, agevolare gli spostamenti dei malati e, in alcuni casi, anche la loro fuga.
Nelle carceri di San Vittore, il dottor Gatti iniettò il vaccino anti-tifico in modo da provocare i sintomi della patologia stessa. C’è chi si inventò un morbo: è il caso del morbo di K, passato alla storia per opera della mente arguta del dottor Giovanni Borromeo (Fatebenefratelli di Roma). Sapendo che non avrebbe potuto arrestare l’ingresso dei militari tedeschi in ospedale, elaborò questa malattia fittizia spacciandola per gravissima e altamente virulenta, questo significò la libertà di centinaia di ebrei.
È doveroso ricordare che molte di queste figure hanno sacrificato la loro vita per il loro senso del dovere e di moralità, ed è da lì che il giuramento di Ippocrate si arricchì di nuovi valori, sfaccettature e, perché no, di contraddizioni.(…)”
Storie di infermieri
GUARDA TUTTI I VIDEOCiò che mi piacerebbe dire a chi intraprende la carriera infermieristica,
oggi, è che fa uno dei lavori più belli del mondo perché è più in linea con i bisogni della gente di oggi
Edoardo Manzoni